Milano, domenica 20 dicembre 2020
L’azzurro della maglia della Nazionale maggiore ma anche del cielo della California dove si allena: un colore che vale l’obiettivo di una carriera per Luigi Robert Colella, per tutti Gino. Un obiettivo che dal 2021 inseguirà con la maglia verde.
Gino Colella, specialista del salto con l’asta due volte sesto ai Campionati Europei giovanili (a Eskilstuna/Svezia nel 2015 a livello Under 20 e a Bydgoszcz/Polonia nel 2017 a livello Under 23), ha un legame ancestrale con l’atletica…e pure con la Riccardi. Il nonno di Gino, Luigi, scomparso nel 2005, da atleta saltò 3.80 (con attrezzi diversissimi da quelli di oggi) e fu il fondatore dell’Unione Sportiva Foggia e pure della rinomata scuola dell’asta di Foggia all’inizio degli Anni Ottanta: due dei suoi figli avrebbero seguito le orme paterne, Antonio e Davide, approdando in carriera rispettivamente a 5.45 e 5.20. Davide Colella è oggi il presidente dell’US Foggia, mentre Antonio è il papà e il coach di Gino, che ha doppia cittadinanza, italiana e statunitense. La ragione è semplice: assunto come assistente allenatore all’Università dell’Illinois nel 1988, Antonio si è stabilito negli Stati Uniti, sposando una donna americana e trasferendosi in California dove sono poi nati i figli Gino e Giulia. Gino Colella lo scorso anno con 5.53 si è preso il primato di famiglia togliendolo al papà, nel picco prestativo di un percorso che l’aveva visto conquistare già nel 2011 la migliore prestazione italiana Cadetti con 4.56. Fin qui le vicende della dinastia Colella, ma come detto c’è un legame molto forte pure con il verde Riccardi: nonno Luigi fu infatti amico di Renato Tammaro, fondatore della Riccardi, e papà Antonio da atleta disputò cinque edizioni della Pasqua dell’Atleta vincendo pure con 5.20 l’edizione 1984 a Busto Arsizio (Varese), l’anno del limite mondiale sui 500 metri di Donato Sabia.
Dopo tre anni nel Gruppo Atletico Fiamme Gialle e un season best 2020 da 5.32 Gino Colella è approdato alla Riccardi con un curriculum che comprende anche un titolo italiano Juniores (2015), un bronzo tricolore Assoluto (2016) e pure due finali iridate, collezionate a Eugene (Usa) nel 2014 da junior (11esimo) e a Donetsk (Ucraina) nel 2013 da allievo (ottavo). Abbiamo raggiunto lui e il padre Antonio attraverso una chiamata WhatsApp: l’ambiente, dalla sua abitazione a Simi Valley circondata da un campo da golf, è un inno ai colori e alla serenità, qualcosa di molto diverso dai cieli di Lombardia in questi giorni.
La storia della tua famiglia racconta come l’atletica e il salto con l’asta siano caratteristiche del vostro DNA: quando hai iniziato a saltare?
«Presto ma nemmeno prestissimo: ho iniziato a imparare i primi fondamentali della tecnica del salto con l’asta a otto anni. Il primatista del mondo Armand Duplantis, altro figlio d’arte, iniziò che di anni ne aveva solo quattro: tra l’altro ho avuto di gareggiarci contro a Chula Vista nel 2016, quando realizzai 5.25 e lui rischiò di uscire a 5.20 prima di superarmi conquistando 5.45».
Sei cresciuto in California: i primi banchi di prova agonistici sono state le gare scolastiche?
«Sì, a livello di high school. Le superiori durano quattro anni e si gareggia tutti assieme, senza suddivisioni in fasce d’età: quand’ero al primo anno ero già più forte dei ragazzi di tre anni più vecchi di me. Capitava di portare i ritti da casa perché in alcune gare le strutture dello stadio non erano abbastanza alte per permettere di provare a saltare certe misure. Durante gli anni della scuola comunque non facevo solo atletica ma praticavo anche calcio, pallavolo e football americano nella versione senza contatto: tuttora invece faccio surf e gioco a golf a livello amatoriale».
Qual è stato l’anno in cui hai capito di poter diventare un professionista dell’atletica e quale la gara che ricordi con maggiore piacere?
«Le esperienze mondiali di Donetsk 2013 e di Eugene 2014, dove tra l’altro era come se “giocassi in casa” e facevo da traduttore per i compagni di Nazionale, sono stati molto importanti per la mia crescita. La gara più bella è stata però l’Europeo Under 23 di Bydgoszcz 2017: non ero mai stato in Polonia, l’attimo in cui sono entrato nello stadio, con la musica e le luci ad accompagnare il nostro ingresso in campo, mi diede una scarica di adrenalina incredibile».
Vivi il salto con l’asta da quando eri bambino: cosa rappresenta per te questa specialità?
«È una gara unica e riflette me stesso. Non dura una manciata di secondi come una prova di sprint, ma vive momenti importanti nel pregara, durante la competizione e dopo la gara: è come un film».
Cosa ti porta in Riccardi?
«L’Atletica Riccardi Milano 1946 è una squadra meravigliosa, molto conosciuta in Italia: mio padre ha dei ricordi molto belli legati alla Pasqua dell’Atleta». Antonio conferma, ricordando «la vittoria del 1984 sotto la pioggia: 5.20 per precedere Gianni Stecchi, un altro astista che avrebbe poi trasmesso la propria passione al proprio figlio».
Che differenze noti tra saltare con l’asta in Italia e saltare con l’asta negli Stati Uniti?
La prima risposta è di Antonio: «Negli Usa ci sono più gare e più partecipanti: qui in California ogni sabato abbiamo cinque competizioni nel raggio di 120 km e l’imbarazzo della scelta. Scegliamo in base alle previsioni meteo sulle condizioni di vento: è bello avere ogni gara avversari in grado di saltare 5.40 o 5.50». Prosegue Gino: «C’è lo stesso cameratismo, l’atmosfera è molto simile all’Italia. Per il calore del pubblico è difficile battere l’Italia, soprattutto quando ospita una competizione internazionale con gli azzurri, ma c’è grande tifo anche in California alle cosiddette invitational». Chiosa Antonio: «La grossa differenza sono sicuramente le strutture sportive: nella nostra città ci sono ben due stadi di atletica. Ogni liceo e ogni college ha un proprio stadio: da noi è difficile trovare strutture indoor, ma oggi ci sono 22 gradi, quindi capire bene che in California, dove piove cinque giorni l’anno, gli impianti coperti possono pure non servire».
Com’è stato per te questo 2020 pesantemente condizionato dalla pandemia?
«Allenarsi è il mio lavoro, quindi è una cosa essenziale. Molti stadi hanno chiuso, quindi ho saltato di meno e svolto più attività a corpo libero. Ne ho approfittato anche per tirare il fiato».
Quali hobby e attività coltivi al di fuori dell’atletica?
«Mi piace il basket, sia da giocare sia da vedere: tifo ovviamente per i Los Angeles Lakers. Gioco a golf e mi rilasso guardando film. Sono vicino a completare il corso di studi in Management turistico e ricreativo: mi piacerebbe molto, finita la carriera, lavorare in questo settore, qui in California le opportunità sono ottime (e lui parla cinque lingue: inglese, italiano, spagnolo, tedesco e mandarino, ndr)».
Come tu auspichi sia il tuo primo anno in maglia verde?
«Non vado troppo in là con il pensiero, mi aiuta a restare fresco. L’ambizione è vestire per la prima volta la maglia della Nazionale Assoluta».
Per la Riccardi sarebbe l’atleta numero 113 e per papà Antonio sarebbe un tuffo indietro nei ricordi, «quando fui io a vivere l’emozione della “matricola” a Torino: ci pensarono Scartezzini, Urlando e il grande Mennea». Emozioni solo sopite ma pronte a fiorire assieme all’avventura in maglia verde.
NELLE FOTO Colombo/FIDAL: Gino Colella in azione agli Europei Under 20 2015 (in alto) e agli Europei Under 23 2017 (qui sotto); in basso Gino con il padre Antonio.
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