L’Atletica Riccardi Milano 1946 ha un nuovo vicepresidente. Il Consiglio Direttivo ha infatti nominato (su proposta dello stesso presidente Sergio Tammaro) Rino Darsena in questo ruolo cruciale all’interno della vita sociale. Darsena, 69 anni, riveste però già da 15 mesi un ruolo fondamentale in Riccardi quale punto di riferimento all’interno della segreteria e inesauribile fonte di idee e di proposte in tutti gli ambiti sempre nell’ottica di una crescita dell’Atletica Riccardi Milano 1946. L’eclettismo e il cuore verdissimo sono d’altronde da sempre due caratteristiche peculiari di Rino, che ha vissuto la Riccardi da atleta (con papà Antonio dirigente) ma anche da genitore e dirigente (nelle squadre dove militava il figlio Andrea). Di seguito pubblichiamo il racconto della sua esperienza in Riccardi da lui stesso scritto con la consueta passione e uno sfondo, al solito, idealmente dipinto di verde.
Avevo 14/15 anni e giocavo da due anni a calcio. In un torneo giovanile che vedeva la mia squadra impegnata ai vertici della classifica contro la categoria giovanile di Milan e Inter, mi ero distinto nel gioco e avevo ottenuto l’attenzione di un dirigente del Milan che mi proponeva di entrare nella loro scuola di calcio a Milanello.
Seguiva quelle partite Gianni Brera e mio padre, che spesso gli si sedeva vicino in tribuna, confidava al giornalista che esitava a concedermi il permesso in quanto non accettava di buon grado il fatto che andassi a vivere altrove. Era molto legato a me e l’idea che mi allontanassi da lui non gli andava giù. Dovevo decidere e in fretta. Passavo di categoria e avrei dovuto trovare una nuova squadra.
Gianni Brera risolse il piccolo dramma con una frase che buttò lì (in milanese) a mio padre con me presente ovviamente shoccato nel sentirla: «Lascia perdere, tuo figlio non sa giocare così bene, non ha possibilità nel calcio, farebbe solo numero tra le riserve, ma visto che corre forte ed è molto agile, convincilo a fare l’ATLETICA, e portalo alla RICCARDI che è … il meglio».
Pochi giorni dopo Brera deve aver chiamato qualcuno (Renato Tammaro? Voglio pensare così), tanto è che la settimana seguente ho trovato in tribuna un atleta (Enrico Zerbi) che mi invitava ad andare alla Riccardi. L’idea di una nuova sfida mi affascinava, avevo valutato il giudizio di Brera e preso atto che ero un po’ troppo timido e leggero per potermi imporre in un gioco di squadra spesso violento dove, in ogni partita, ero preso di mira per primo e massacrato di calci, rifilati con l’intento di frenare la mia velocità. Effettivamente non ero sufficientemente bravo per evitarlo.. . e cattivo per restituirli.
Finito il torneo e superato il “provino atletico al Giuriati” avvenne la mia iscrizione alla Riccardi e l’addio contestuale al calcio. Fu comunque decisivo il fatto che mio padre avesse conosciuto Renato Tammaro: Fino dal loro primo incontro non solo mio padre mi sostenne nella decisione ma addirittura fece pressione che mi impegnassi seriamente nel mondo dell’atletica: ne aveva percepito lo spirito, ben diverso da quello che si respirava nel mondo del calcio.
Con Renato mio padre ha subito stabilito un ottimo rapporto (quale genitore non ne ha subito il fascino?) anzi credo sia nato tra loro, fin da subito, un reciproco rispetto. So che condividevano gli stessi valori, la stessa passione per uno sport pulito, per una sana competizione, per l’educazione dei giovani.
Certo avevano lo stesso carattere ed altro in comune oltre l’età.
Ormai , per mio padre, Renato era l’unico uomo degno di stima cui affidare le sorti sportive di suo figlio: diventò anche per me un punto di riferimento, un modello di vita da seguire, un'altra persona oltre mio padre che volevo render fiera dei miei risultati e di cui ambivo conquistarne la stima.
Nelle competizioni mi riusciva tutto benino, in principio velocità e lungo e persino tentativi nel salto in alto.
Grazie alla nuova preparazione atletica, al Gonzaga, dove studiavo, avevo ottenuto il mio nome in testa alla “targa dei record sportivi nei Campionati Studenteschi”, superando in ogni specialità nientemeno che Sergio Ottolina, che nella stesso liceo aveva precedentemente studiato e praticato le stesse specialità. Per soddisfare la mia ambizione di voler ottenere qualcosa di meglio da me stesso (o forse per coprire quella specialità -gli ostacoli - in cui eravamo carenti di atleti fortissimi) Renato e Parodi mi misero in mano nientemeno che al grande Gianni Caldana. Avevo di mio gambe forti, scatto, agilità, velocità e una discreta elevazione, ma il tocco in più, la vera magia, è venuta dal suo apporto sia tecnico che psicologico (mi ha saputo infondere autostima, forza di carattere - oltre alla capacità di vincere la paura degli ostacoli). Nonostante la differenza di anni, e che fosse, non solo ai miei occhi, un Mito, ho finito per considerarlo come un amico e seguendo rispettosamente e scrupolosamente i suoi insegnamenti tecnici, oltre che quelli di vita,i mi sono sempre sentito all’altezza di affrontare ogni situazione.
Mio padre era diventato dirigente e ci accompagnava ad ogni trasferta. Motivava me e i miei compagni. Riusciva ad essere benvoluto da tutti e gli atleti lo consideravano alla pari: un amico, spesso un confidente, più che un padre o un dirigente.
Presto alla Riccardi, nella mia categoria si è formata una squadra di giovani atleti “talentuosi” , coprivamo le varie specialità nelle principali manifestazioni di atletica e nei campionati (allora c’era anche il CSI). Mangiagalli e Nicolai le gare di velocità, io e Jurina sugli ostacoli, Contini, mio compagno di classe, nel mezzofondo, Tansini e Macciotta nei lanci, Megna sui salti. Riempivamo podi ovunque e ciascuno lo faceva almeno due specialità. Ci sostenevamo vicendevolmente dentro e fuori della pista .
Renato era fiero dei risultati e gongolava alla consegna di ogni coppa vinta per la Riccardi. Il martedì o il giovedì sera si faceva un salto in sede, convocati dal Capo o dal direttore tecnico Enrico Parodi, ufficialmente per ricevere complimenti, per organizzare il prossimo evento , ma spesso si finiva per stampare volantini, incollare buste. E ci si andava a prescindere, per ritrovarsi, per godere della simpatia e cordialità di Parodi e Moleti , per sentire le ultime notizie e le “nuove” barzellette, per incontrare gli atleti più grandi (in Riccardi ce ne erano di veramente grandi, campioni, miti, uno fra tutti Alfredo Rizzo) e noi più giovanissimi ricevevamo pari attenzione, rispetto e amicizia.
Ho imparato che si può e si deve essere squadra anche in uno sport individuale; quanto incida favorevolmente un apporto sostanziale e morale della società, dei dirigenti e degli allenatori; quanto siano importanti amicizia e rispetto fra tutti gli atleti, indipendentemente dall’età o dal valore in pista. Ho imparato quanto si possa essere fieri di trovarsi sotto la stessa bandiera esultando dei risultati di ciascuno.
Il mondo dell’Atletica e soprattutto il verde della Riccardi era entrato nel sangue della mia famiglia. O forse la mia famiglia era diventata la Riccardi dal presidente all’ultimo ragazzino iscritto.
Passato di categoria, da Juniores, dopo gli 80 ostacoli, i 110 ostacoli erano per me (non molto alto) una gara quasi di mezzofondo, fatta di 10 salti in alto e 8 salti in lungo. Ma la preparazione tecnica di Gianni Caldana mi permetteva di affrontare “quasi” alla pari gli spilungoni..anche se loro mi sfottevano amichevolmente prima di ogni partenza erano sempre più quelli che finivano alle mie spalle all’arrivo di quelli che mi precedevano.
Finii la stagione col sesto tempo nelle graduatorie italiane Juniores e ottenni perfino una promettente convocazione a Formia in una selezione azzurra giovanile dei migliori ostacolisti, ma la mia avventura stava per finire.
Gli esami di maturità, un’operazione a seguito di una peritonite, una lunga convalescenza mi hanno allontanato dagli allenamenti e dall’atletica. Ho deciso di abbandonare seppure a malincuore lo sport agonistico nel quale, del resto, ancora una volta, non avevo possibilità di fare tanto più di quello che avevo fatto: era il 1968 (anno non proprio dei più tranquilli per i giovani).
Incombevano altre sfide: volevo seguire le tracce lavorative di mio padre, cercare di rendermi economicamente indipendente e nel contempo dovevo studiare all’università e anche affrontare una vita sentimentale un po’ più “impegnativa” rispetto a quella dell’adolescenza.
Quindi tutto sommato la mia è stata una brevissima e “modesta” carriera come Atleta. Ma il ricordo di quegli anni rimane un periodo epico per me, come lo è il proprio trascorso atletico per ogni Atleta campione o meno: quello che conta è il ricordo di essersi sudato ogni risultato, di aver provato a raggiungere e tentato di superare il proprio limite, spesso riuscendoci. La soddisfazione prescinde dall’aver conquistato titoli (quelli sono riservati all’eccellenza, che ha dosi limitate e non è disponibile per tutti).
Per oltre vent’anni io e mio padre siamo rimasti solo soci sostenitori della Riccardi, che era pur sempre nei nostri cuori, ed eravamo lieti per le visite che Renato ci dedicava ogni volta che si trovava dalle parti dei nostri negozi. Puntualmente ogni anno ci portava l’annuario informandoci sull’attività, sui risultati e sulle novità della Riccardi. Regolarmente , fin da quando era appena nato , mi esortava a portare mio figlio Andrea in Riccardi. Renato era così con tutti non perdeva occasione per fare, con signorilità, proselitismo o parlare della Riccardi, sciorinare nomi, risultati imprese ma si mostrava sempre vicino a tutti, aveva una buona parola per ogni persona e per ogni occasione.
E venne il giorno del ritorno. Mio figlio tredicenne, finalmente mi disse che doveva partecipare alle gare scolastiche e cha avrebbe gradito fare bella figura neli salto in lungo.
Alzai il telefono, parlai con Renato che mi disse di andare subito al Saini da Giampiero Alberti. Portai Andrea al campo. Giampiero accolse con entusiasmo mio figlio che non aveva mai visto una pista di atletica e che vedevo, in quel momento, un po’ intimidito per la presenza di ragazzi più grandi della Riccardi che Giampiero ci aveva indicato essere atleti nazionali.
Tutto in un colpo, a poche ore dalla semplice richiesta di un consiglio, mio figlio si ritrovava a “scaldare i muscoli” sotto gli occhi del “numero uno degli allenatori” della Riccardi, girando in pista a fianco di atleti nazionali: Cordani, Benatti, Orlandi. Questi e altri, che non solo lo avevano simpaticamente accolto alla pari ma subito si sono posti come amici. La storia si ripeteva. Quel momento non solo ha rapito, commosso ed esaltato me, ma fortunatamente ha eccitato e coinvolto per sempre anche lui.
Andrea ha poi fatto molto di più e molto meglio di me, con una maggior dedizione, tenacia e maggiori sacrifici; ha mostrato sempre rispetto e stima per i suoi avversari, si è ritagliato altrettanta stima e simpatia ed ha sviluppato un gran carattere, competitivo quanto basta e soprattutto…ha ottenuto meritatamente maggiori e decisivamente più rilevanti risultati sportivi di quanto abbia fatto io.
Io, di volta in volta dal 1993 al 2001 sono stato nominato da Renato dirigente della categoria nella quale militava mio figlio, sapevo motivare i giovani, rassicurare e coinvolgere i genitori; ho dedicato molto del mio tempo libero,e ho portato l’uso del computer in società. Addirittura ho realizzato per la Riccardi il primo sito internet (o meglio il primo sito di una società di atletica in Italia). Forse ho fatto più come dirigente (e padre) di quanto abbia fatto come atleta.
Quanto a mio figlio ovviamente ha smesso da subito di chiamarmi in pubblico “papà” ma come per tutti gli alti ero solo “Rino” al massimo “zio Rino”: credo comunque andasse anche fiero della considerazione in cui ero tenuto nell’ambiente ed era soddisfatto per la simpatia che i suoi compagni dimostravano nei miei confronti. Un altro Darsena aveva maturato un cuore verde. Tre generazioni.
Certamente aveva compreso uno stile di vita, fatto di principi e valori spesso non facili da ritrovare oggigiorno se non nel mondo dell’atletica; principi e valori cui aderiscono tutti i veri campioni ma anche i più modesti ed onesti atleti.
Dopo nuove sfide nel mondo del lavoro, che mi hanno portato prima a Roma e poi in Svizzera, sono tornato a Milano ad affrontare la sfida più tosta, una vecchiaia ormai prossima che pretende di scalfire fisico e spirito.
Il mio ritorno in Riccardi dopo 15 anni - Giampiero Alberti mi ha chiamato informandomi che i nomi dei Darsena perché entrassero nel Consiglio Direttivo e che Sergio Tammaro si era dichiarato lieto della proposta al punto che voleva che fossimo subito contattati: cercava la collaborazione di “cuori veramente verdi” e sapeva tra tanti quanto io, Andrea, Alessandro ed Enrico lo fossimo . Cosa potevo rispondere ad un simile invito? --- PRESENTE!...ovviamente
Felice e orgoglioso, mi sono rimesso sotto carica per riprendere quelle energie che vanno sempre più facilmente esaurendosi con l’età e l’inattività; sono tornato in pista pronto ad affrontare gli ostacoli (la metafora della mia vita), e spero di esserne ancora una volta all’altezza, con le competenze acquisite e quel po’ di esperienza e saggezza che ci si aspetta di trovare in chi ha i capelli bianchi.
Ho ritrovato la solita Riccardi che lotta contro i soliti avversari: i soldi, le strutture istituzionali carenti, le difficoltà organizzative. Ho ritrovato chi sa rincorrere, raggiungere e spesso superare i suoi stessi sogni .
Ho ritrovato la società che è sempre sulla cresta dell’onda, sempre più in alto e che col merito e vuole restarci m anche che mantiene lo scopo di contribuire a plasmare il carattere dei giovani attraverso la pratica e l’amore per lo sport ed i suoi valori, magari in una veste un po’ più manageriale.
Bravo Sergio, buon sangue non mente, rivedo la stessa grinta che aveva Renato, anzi, si passi l’espressione e il gioco di parole : ha saputo rinverdire la verde Riccardi .
Rino Darsena
NELLE FOTO tre momenti della vita in Riccardi di Rino Darsena
Qui sotto: una gara sui 110 metri ostacoli all’Arena nel 1968 (Rino, in maglia Riccardi, è il terzo atleta da sinistra).
In alto a sinistra un'immagine del Consiglio Direttivo Riccardi scattata il 5 maggio 1997: in piedi da sinistra Nino Moleti, Enrico Parodi, Abele Torresani, Renato Tammaro, Adolfo Tammaro, Cesare Cardani, Roberto Negretti, Vittorio Colò; accosciati: Sergio Tammaro, Giovanni Di Caro, Rino Darsena, Sandro Zoppini.
In home (FOTO di Mario Grassi): Rino Darsena con il presidente Sergio Tammaro.
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