A poco meno di un anno dalla scomparsa del nostro presidente Renato Tammaro è mancato ieri giovedì 24 marzo all’età di 70 anni un altro dirigente italiano di altissimo profilo, il deus ex machina della Studentesca Rieti Andrea Milardi (NELLA FOTO di Mario Grassi con Renato). L’Atletica Riccardi 1946 e il suo presidente Sergio Tammaro piangono la scomparsa di un amico e di una figura dirigenziale che ha fatto tantissimo per l’atletica italiana, stringendosi con affetto alla famiglia di Andrea, ai figli Alberto, Maria Vittoria e Maria Chiara, quest’ultima apprezzato e stimato tecnico di atleti di livello nazionale e in passato anche istruttrice dei corsi di avviamento della Riccardi.
Di seguito riportiamo il ricordo di Milardi firmato dal giornalista Giorgio Cimbrico.
L’addio domani pomeriggio al campo, al Guidobaldi, sfiorato da un fiume limpido. Non può esserci posto migliore per salutare Andrea Milardi, l’uomo che aveva trasformato in gigantesca prole la gioventù di Rieti, una generazione dopo l’altra di scolari e di studenti, per decenni, saldando il vincolo di una terra con l’atletica, rendendo tutti figli suoi, legandoli per sempre a una società che era una fratellanza di sangue, un club allegro, un simbolo per un intero movimento, un album di figurine, uno staffettone gigante: i modi per ritrovarsi diventavano una fucina di invenzioni. C’è un commovente precedente letterario che può adattarsi ad Andrea ed è mister Chips, l’immaginario insegnante di un college che educa ragazzi nello scorrere della sabbia nella clessidra, finendo per formare un archivio in cui era possibile rintracciare le manchevolezze in greco antico del nonno, le brillantezze in latino del padre, la definitiva asineria dell’ultimo prodotto di famiglia.
Anche Andrea (al fianco di Cecilia, piccola e razzente piacentina conosciuta dopo un record italiano dei 100, naturalmente su quella pista fatale) aveva formato un prodigioso corpus di dati. Uno dei testimoni diretti - e protagonista in adolescenza – di questa esperienza racconta che accostarsi all’atletica significava provarne i gesti più naturali: un 60, un salto in lungo, un lancio del vortex, il similgiavellotto che forniva indicazioni sulla mobilità articolare di braccio e spalla. “I ragazzi e le ragazze si cimentavano in quelle prove e Andrea e Cecilia scrivevano”, racconta questo testimone, uno delle migliaia che ebbero la fortuna di non fare lezione di ginnastica in un palestra improvvisata e inospitale ma all’aria aperta, scoprendo un mondo e sorprendendosi di avere un corpo con delle potenzialità sconosciute. I figli Alberto, Chiara, Vittoria hanno seguito il suo stesso sentiero: allenatori, che significa anche esploratori.
Allenatore e dirigente della sua Studentesca, da tempo Cariri, è facile etichettare Andrea. In realtà, un educatore, un pedagogo. All’ingresso del campo avrebbero dovuto scolpire “Ca’ Zoiosa”, perché lì sono state convogliate le aspirazioni, affinati i talenti, formati i caratteri, esaltata la leggerezza che dovrebbe essere patrimonio del genere umano, costretto a vivere in un mondo sempre più greve. Andrea ha vinto 28 scudetti, assoluti e giovanili, ha offerto alle nazionali non pattuglie ma robusti battaglioni (e il destino ha voluto che l’ultimo, il giovane pesista Sebastiano Bianchetti, avesse le sue stesse radici, a Contigliano), si è scoperto tra le mani il prodigioso talento di Andrew Howe e lo ha aiutato, nel senso più profondo, quando le difficoltà di vita assediavano quella famiglia che si era ritrovata al centro d’Italia e al centro di molti problemi. Lo faceva nel suo modo ruvido, diretto, molto umano. “Era come un padre, non solo per me ma per tutti i reatini. Un uomo fondamentale nella mia vita” ha scritto Andrew quel che, aggiunge lui, non avrebbe mai voluto scrivere. Ed è l’epitaffio più triste, più bello.
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