Nell’albo dei primati sociali della Riccardi 1946 alla voce “Triplo Allievi” c’è, con 15.27, il nome di Andrea Saccani, atleta cremasco classe 1986 premiato durante il Riccardi Champion’s Day e finalista ai Mondiali Under 18 di Sherbrooke 2003 e alle Gymnasiadi di Caen 2002. La sua parabola in maglia verde riguarda solo le stagioni 2002 e 2003, ma la sua storia (raccontata per sommi capi anche sabato scorso al Centro Congressi della Fondazione Cariplo) è una testimonianza importante per tutti, anche al di fuori del mondo dell’atletica. Qui sotto riportiamo la sua storia, raccontata dallo stesso Andrea.
Mi sono innamorato dell'atletica leggera alle scuole elementari durante i Campionati Studenteschi del mio paese (Pandino, in provincia di Crema). Nel 1999 la passione per l'atletica è esplosa dopo aver conosciuto il vulcanico prof. Gnatta (mio professore di Educazione Fisica alla scuola media Agello di Crema). Lo stesso anno mi tesserai con l'Atletica Virtus Crema e vinsi i campionati regionali di salto in alto (categoria Ragazzi) guadagnandomi la partecipazione ai campionati nazionali Endas in cui mi piazzai secondo con 1.66m.
Nel 2000 passai all'Atletica Estrada ed iniziai ad allenarmi un paio di volte a settimana sui salti in estensione, nel 2001 (secondo anno Cadetti) vinsi il triplo al Criterium Nazionale di categoria con 14.18m.
Nel 2002, primo anno con la maglia della Riccardi, iniziai ad avere problemi fisici di vario genere (probabili segni premonitori della malattia) tra cui forte anemia, allergia importante ai pollini delle graminacee, sofferenza ai tendini di Achille e gonfiori improvvisi alle ginocchia. A livello sportivo arrivai primo tra gli Allievi ai Campionati Italiani indoor e andai alle Gymnasiadi di Caen nelle quali realizzai il PB nel triplo al primo salto di qualificazione (15.08m). Il giorno delle finale, all’indomani delle qualificazioni, mi procurai al primo salto una lesione parziale della cresta iliaca sinistra: seguirono 8 mesi di fermo forzato che mi causarono un notevole stress psicologico e, probabilmente, furono la miccia di innesco della malattia intestinale pronta a manifestarsi.
Nel gennaio 2003 (a 16 anni, in uno dei momenti più delicati per la crescita di una persona) si presentò una notte la malattia infiammatoria intestinale: una rettocolite ulcerosa (RCU) con importanti perdite di sangue e forti dolori addominali. A breve distanza seguì la diagnosi della malattia e l'inizio delle terapie con farmaci antinfiammatori. Il 2003 fu l'ultimo anno in cui riuscii a fare sport, giunsi sesto ai Mondiali Allievi con 15.15m (primo tra gli europei) e nell'unica gara di salto in lungo disputata vinsi i Campionati Italiani di Società Allievi con 7.20m. Nella categoria Allievi non ebbi mai la possibilità, a causa dei problemi fisici, di partecipare ai Campionati Italiani individuali.
Nella primavera del 2004 la malattia letteralmente esplose e mi sconvolse l'esistenza. Nel maggio del 2004 fui ricoverato per la prima volta, per circa 1 mese, e provai i primi farmaci cortisonici (farmaci che hanno distrutto la mia struttura scheletrica fino ad arrivare a registrare un t-score lombare di -3.5: sognavo la densità ossea di mia nonna). Solo a un anno di distanza dai Mondiali Allievi, il mio fisico era divenuto irriconoscibile: energia fisica azzerata, muscolatura scomparsa (persi 15 kg abbondanti in un anno e arrivai a perdere altri 10 kg l'anno seguente fino a raggiungere un peso poco superiore i 45 kg), viso stravolto. Ero diventato il fantasma di me stesso.
La malattia divenne sempre più aggressiva negli anni e non c'era terapia che riuscisse a placare i sintomi. Dal 2004 al 2011 la mia vita è stata un inferno: ho sofferto dolori addominali indescrivibili (sono svenuto più di una volta a causa dei dolori provocati dalle ulcerazioni diffuse in tutto l'intestino crasso), le ulcere intestinali mi hanno provocato per anni perdite importanti di sangue costringendomi costantemente a ricorrere a flebo di ferro e trasfusioni, i farmaci (cortisonici, immunosoppressori, farmaci biologici ecc) mi hanno provocato diversi effetti collaterali (tra cui calcoli renali per i quali sono anche stato operato). Il numero innumerevole di scariche, con nessuna possibilità di gestione delle stesse, mi aveva portato ad isolarmi dal mondo. Per molti anni è come se fossi vissuto in un'altra dimensione, in un mondo parallelo a quello reale. Uscire di casa era diventato un incubo: dovevo munirmi di pannoloni, padelle, vestiti di ricambio. Di conseguenza persi quasi tutti gli amici ed i contatti con la vita conosciuta fino al 2003.
Racconto un aneddoto che descrive bene le difficoltà provate durante gli anni della malattia. Nel 2005 a 19 anni, infuriato per la condizione disastrosa nella quali mi trovavo, decisi di sfidare me stesso, come gesto di ribellione ad una vita insulsa, ed andare ad Helsinki per assistere ai Campionati Mondiali di atletica leggera. Appena atterrato in Finlandia fui costretto a rivolgermi alla prima farmacia per richiedere un antiemorragico per tamponare le copiose perdite di sangue in atto (avevo il colon martoriato dalle ulcere). Ebbi la forza di andare allo stadio a vedere la finale di salto triplo vinta dell'americano Walter Davis ed uscito dallo stadio persi quasi conoscenza sul tram a causa dei dolori addominali lancinanti.
Poi nel 2009, stremato dagli anni di battaglia con la malattia e dopo aver provato ogni sorta di terapia possibile ed immaginabile, fui operato: proctocolectomia totale con confezionamento di j-pouch. Tradotto: un intero organo, l'intestino crasso, venne rimosso e le ultime anse dell'ileo vennero rimodellate per creare una sacca interna per la raccolta delle feci. Per sei mesi restai con un'ileostomia temporanea e poi, chiusa la stomia, affrontai un periodo di disperazione assoluta a causa del concretizzarsi del pericolo più grande nel post operatorio: la pouchite cronica, infiammazione cronica della pouch che determinava sintomi del tutto simili a quelli vissuti nel periodo antecedente l'operazione. Vedevo la mia vita finita, l'intervento l'avevo vissuto come la mia ultima spiaggia ed era stato un fallimento. A cavallo tra il 2010 e il 2011 la situazione si fece così critica che iniziai le pratiche per testare un farmaco sperimentale e prese sempre più piede la possibilità di essere operato per posizionare una stomia definitiva (sacchetto per il resto dei miei giorni)...Un incubo. Fu in quel momento di disperazione che presi coscienza di un aspetto fino ad allora escluso dai miei pensieri: per otto lunghi anni avevo sempre considerato la malattia come una terribile sfortuna ed avevo continuamente cercato terapie/medici che potessero aiutarmi. Non avevo mai considerato la malattia come un messaggio, un'opportunità per rivalutare le mie posizioni/comportamenti nei confronti della vita. Iniziai a rendermi conto che la malattia non doveva più essere considerata come un agente casuale piombatomi addosso dall'esterno; cominciai a valutarla come parte integrante della mia persona, come un segno che dovevo ascoltare per correggere qualcosa dentro di me. Capii a quel punto che la soluzione ai miei mali dovevo cercarla in me stesso e non più in farmaci miracolosi o medici luminari.
Ci fu la svolta! Tramite delle tecniche di psicologia energetica trovai tante risposte alle mie domande, mi resi conto di aver sempre avuto dei "dissidi interiori" che alimentavano un inconscio atteggiamento volto all'autodistruzione...Mi volevo fare del male senza che io me ne rendessi conto!
Nel giro di due mesi (gennaio/marzo 2011) l'infiammazione intestinale migliorò tantissimo, i medici rimasero sbalorditi di fronte ai miei miglioramenti sorprendenti.
Nel giro di pochi mesi, l'incubo del farmaco sperimentale e dell'intervento di stomia definitiva svanirono nel nulla.
Più passava il tempo e più miglioravo. Non dovetti più assumere farmaci e nel marzo 2012 ebbi la piena consapevolezza di aver superato una malattia che fino a pochi mesi prima sembrava indomabile.
Negli anni di dura sofferenza, oltre al sostegno della famiglia, tre pensieri mi hanno tenuto vivo: la voglia di tornare a riprovare l'indescrivibile sensazione che si prova saltando, l'esempio di vita di due persone straordinarie che rispondono al nome di Renato Tammaro e di mio nonno paterno Bimo Saccani e la curiosità di conoscere il mondo seppur solo tramite un libro o un monitor collegato a un computer (a tal proposito, sorrido sempre quando ripenso al momento in cui mi iscrissi all'università, mi trovavo in una stanza di ospedale da ormai tre mesi e venivo alimentato per via parenterale).
Parole che lasciano il segno, quelle di Andrea Saccani, destinate a costituire un riferimento importante soprattutto per i giovani ma anche più in generale per chi affronterà un momento difficile. Andrea però non racconta che, durante il suo calvario, ha raggiunto brillantemente un traguardo importante come la laurea in Biologia seguita dalla laurea specialistica in Biologia Molecolare. Ora però Saccani sta lavorando in ambito pubblicitario e nel frattempo sta coltivando un sogno: tornare a saltare con una maglietta verde indosso. «Ho sofferto anche di osteoporosi e sono arrivato a pesare 30 kg in meno del mio peso forma: la mia carriera si è fermata al 2003, la malattia mi ha colpito duramente ma non mi ha tolto la voglia di esprimere il mio potenziale. Ora posso balzare e saltare, mi seguono Giampietro Alberti ed Enrico Porta: so che raggiungere i risultati pre-malattia è un’impresa difficile, ma…saltare mi dà un’emozione particolare, unica, e l’ho vissuta per troppo poco tempo per non volerla rivivere». Con un po’ di gioventù in meno, ma con tanta forza e consapevolezza in più.
In bocca al lupo, Andrea: ti atteniamo in pedana.
NELLA FOTO di Mario Grassi: Andrea Saccani premiato da Pino Zoppini al Riccardi Champion's Day.
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