Un inno d’amore per l’Atletica Riccardi, ma anche una preziosa testimonianza dell’atletica ruspante degli Anni Settanta: è la storia che proponiamo per Natale. A raccontarla è Osvaldo Pinetti, classe 1951, mezzofondista in maglia verde tra il 1974 e il 1978: il presidente dell’Atletica Riccardi 1946 Sergio Tammaro (assieme alla sorella Daniela e al figlio Matteo) è stato ospite del suo panificio, in un rendez-vous intriso di ricordi e di passione atletica.
L’atletica di Osvaldo, bergamasco di Covo, era un mondo puro, fatto di fatiche quotidiane e lontanissimo dal concetto di professionismo: «Ho iniziato a lavorare a 11 anni come aiuto fornaio, negli anni dell’agonismo mi svegliavo alle due della notte per lavorare, poi mi “allenavo” in bici correndo a consegnare il pane a domicilio, quindi di nuovo al lavoro prima di allenarmi di corsa la sera: avevo creato grazie a un mio amico molto pignolo un percorso di 300 metri su strada e quando facevo i test c’erano tre ragazzi che si alternavano ogni 1000 metri a tenere alto il ritmo. Su pista mi allenavo pochissimo perché la strada da fare per andare a Bergamo era parecchia e non ce l’avrei fatta con il lavoro: l’indomani infatti mi aspettava sempre un’altra sveglia prima dell’alba».
Pinetti non è l’ultimo arrivato, anzi: a fine carriera arriverà a detenere personali da 8’08” sui 3000 metri, 14’06” sui 5000 e 29’42” sui 10.000. Il primo incrocio con la Riccardi avvenne addirittura in Sicilia: «Avvenne a Messina, nel 1967: si correvano i campionati italiani Csi di corsa campestre, io gareggiavo per un sodalizio di Cremona ed ebbi modo di parlare con Luca Bigatello, promettente atleta della Riccardi che vinse quella gara». L’incontro decisivo sarebbe stato però sette anni dopo: l’interlocutore, come in tante storie in 69 anni di Atletica Riccardi, fu Renato Tammaro. «Lo conobbi nel 1974 - prosegue Pinetti -, per me fu come un secondo padre, che cercò in ogni modo di aiutarmi non solo nell’attività sportiva ma anche nella ricerca di un impiego. Io all’epoca ero taciturno, lui in una trasferta a Roma condivise con me la camera per avere modo di capire come aiutarmi». Il ricordo di Renato per Pinetti apre le porte di un grosso rimpianto: «Mi spiace di non essere riuscito a ripagare appieno la fiducia che mi diede Renato: lui voleva trovarmi un posto di lavoro a Milano, io invece scelsi di rimanere nella bottega di Covo. Se avessi avuto la possibilità di allenarmi con i tecnici della Riccardi sicuramente avrei fatto molto meglio: nella vita la fortuna va presa quando passa…». Non che Osvaldo non si sia preso soddisfazioni: in un 5000 si concesse addirittura il lusso di battere un giovane Alberto Cova. Ai Campionati Italiani Assoluti non andò mai oltre il 12esimo posto, ma la competitività del mezzofondo di allora era diversa da quello attuale: gli avversari di Pinetti si chiamavano Luigi Zarcone, Massimo Magnani, Gabriele Barbaro, Mariano Scartezzini, Giuseppe Cindolo, Venanzio Ortis, solo per citarne alcuni. Personaggi che, a differenza di Pinetti, hanno spesso fatto dell’atletica il fulcro della loro esistenza ma che conoscevano bene il mezzofondista della Riccardi, famoso (qualcuno dei suoi avversari avrebbe detto “famigerato”) per la sua tattica di gara garibaldina e talvolta schizofrenica: «Non mi piaceva correre in gruppo, la compagnia mi dava fastidio: partivo subito a tutta, con un primo chilometro da 2’35” o poco più. Il mio motto era “o salto io o saltano loro”, mi piaceva scattare: ricordo un 5000 l’indomani del matrimonio di mia sorella in cui scattai a ogni giro, suscitando le ire dei miei avversari. Nel meeting indoor organizzato dalla Riccardi nel palasport nel 1976 andai subito all’attacco: Paolo Rosi raccontò di uno sconosciuto in fuga sui 3000 metri…». L’atletica attuale è molto diversa, in pochi corrono con il coraggio che metteva in pista Pinetti: «Il livello del mezzofondo italiano è decisamente più basso, ma in generale i ragazzi non sono più capaci di soffrire e si arrendono non appena crescono le difficoltà».
Oggi Pinetti è sempre sulla breccia con il proprio panificio: pane, biscotti e in queste settimane anche panettoni in notevole quantità. Sempre con una volontà di ferro a sorreggerlo: «Quest’anno abbiamo battuto il record di panettoni prodotti: 1900. In questi giorni si lavora tantissimo, dormo tre ore a notte, ma non è un grosso problema: ci sono abituato». Osvaldo non ha perso il “vizio” della corsa: «Tre anni fa ho provato a correre un 3000 e l’ho chiuso ancora appena sopra i 9’ netti». Tra pane e dolci di Natale il vecchio cuore verde batte sempre forte.
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