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FIDAL

L’altro ieri ragazzino con tanta voglia di imparare ai corsi di atletica della Riccardi, ieri atleta di livello internazionale con la maglia verde, oggi affermato professionista della psicologia dello sport: è in sintesi il percorso di Andrea Colombo, uno dei volti più conosciuti del passato prossimo della velocità in Riccardi.

Colombo, che iniziò a praticare il nostro sport nel 1986 con i nostri corsi e la guida di Vittorio Colò, ha vissuto 11 anni di atletica ad alto livello, raggiungendo picchi da capogiro con il titolo europeo Juniores sui 200 metri (San Sebastian 1993) a livello individuale e la finale olimpica (chiusa al settimo posto) con la 4x100 (Sydney 2000): nel corso della propria carriera ha vestito anche i colori di Snam e Fiamme Oro, ma il verde Riccardi è rimasto il colore di sfondo del suo percorso, chiuso nel 2004 mandando agli archivi primati personali da 10”23 sui 100 e da 20”60 sui 200.

L’avventura in pista è stato però solo il preambolo di una vicenda professionale che oggi lo vede apprezzato psicologo dello sport (laureato in psicologia alla Cattolica di Milano, ha affrontato un anno di studi in Florida per poi rientrare in Italia e conseguire un master nella declinazione sportiva della disciplina), docente universitario, fondatore dell’Associazione MenteCorpo e consulente per la FIDAL ma anche per la nostra società. Abbiamo chiesto ad Andrea di “aprirci le porte” della disciplina e del suo lavoro, tanto complesso quanto importante per migliorare performance e benessere degli atleti.

Partiamo dagli albori del tuo percorso professionale: c’è una particolare fase della tua carriera sportiva in cui ha compreso come la psicologia potesse essere la tua “vocazione”?

«Il desiderio di affrontare questa facoltà all’università è maturato durante gli studi liceali, ma la scelta di indirizzare il mio percorso verso la psicologia dello sport è stata anche frutto della mia carriera sportiva, che mi ha permesso di capire l’importanza di essere consapevoli delle proprie competenze e capacità e degli aspetti relazionali dell’atletica leggera. Nella psicologia dello sport come nello sprint dell’atletica leggera riesco a esprimere il 100 per cento del mio talento».

Gli studi in questo settore ti hanno aiutato ad affrontare le sfide in pista?

«Sì, mi hanno dato equilibrio e poi mi hanno dato la grande opportunità di pensare anche a cosa avrei fatto “dopo l’atletica”, dopo la fine della carriera da velocista: mi hanno permesso di non fossilizzarmi in modo eccessivo sulla performance».

C’è una fase della “vita” atletica in cui l’intervento dello psicologo dello sport risulta essere più importante?

«La chiusura della carriera è un momento delicato su cui si può intervenire: l’atleta maturo è più consapevole e disposto a lavorare sulle proprie emozioni. Diverso il discorso per gli atleti al top: l’aiuto dello psicologo è transitorio, può essere utile quando occorre superare un infortunio, ma in questa fase solitamente l’atleta sa trovare da solo le proprie motivazioni. Ancora differente è la fase di “costruzione” di un talento, quando si ha a che fare con un atleta che passa dalle categorie giovanili a un’attività più strutturata. Parlando di Under 20 si entra anche nel parent coaching: un lavoro che vale non solo per il benessere dell’atleta, ma anche come supporto alla famiglia. Il lavoro dello psicologo dello sport affianca sempre quello del tecnico, con cui ci deve essere un costante confronto».

Esistono differenti problematiche a seconda delle specialità affrontate dagli atleti?

«No, le problematiche sono trasversali alle specialità e legate in primis alle abilità relazionali e al confronto con le proprie paure».

Che rapporto hai attualmente con il mondo dell’atletica leggera e in particolar modo con la Riccardi 1946?

«Alla Riccardi sono legato affettivamente: lo dice la mia storia. La Riccardi è una società all’avanguardia nell’attenzione e nella cura di questi aspetti: con il club ho un rapporto di consulenza psicologica per alcuni atleti. Con la federazione è nato un programma di consulenza che mi ha visto coinvolto, in primis nel settore velocità/staffette, anche al seguito di grandi manifestazione: nel 2015 sono stato alle IAAF World Relays di Nassau, all’Europeo per nazioni di Cheboksary e ai Mondiali di Pechino, mentre l’anno prossimo sarò al fianco degli atleti agli Europei di Amsterdam e a Rio. È importante che, come viene dato giustamente spazio alla fisioterapia, allo stesso modo esista uno spazio dedicato all’ascolto psicologico».

Quanto si è evoluta la disciplina della psicologia dello sport negli ultimi anni?

«In primis si sono superati alcuni pregiudizi: la psicologia non si occupa solo di menti malate come un tempo si tendeva a credere. Sono poi cambiate anche alcune tecniche: si va sempre più verso una comprensione dell’atleta a 360 gradi, considerando mente e corpo come indivisibili».

Una domanda che si sente spesso fare nel mondo dello sport: in percentuale quanto conta la “testa” nella performance di un atleta?

«Conta per il 50 per cento, ovvero quanto l’aspetto fisico. Nell’attività di un atleta vi è la piena compartecipazione degli aspetti mentale, corporeo e tecnico: la mente, intervenendo soprattutto nella costruzione di schemi di interazione e comunicazione e nella consapevolezza di sé, è una componente cruciale».

Per approfondire le tematiche proposte dal dottor Andrea Colombo è possibile consultare la sezione Medicina del nostro sito oppure visitare il sito www.mentecorpo.it.

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